Loredana Capone è nata a Macerata nel 1976: è un medico veterinario specializzato in osteopatia equina e con altri amici a Pollenza, sulle colline marchigiane ha creato una associazione che si chiama La Brigata degli Unicorni.
Dottoressa, cosa fa la Brigata degli Unicorni?
«La Brigata degli Unicorni è un circolo ippico dove si fanno lezioni di equitazione e gare sia per ragazzi con disabilità, sia per quelli che non hanno nessun tipo di disabilità: e si fa lezione tutti insieme».
Perché parlate spesso anche di lavoro con i cavalli, oltre che degli sport che si possono fare con loro?
«Perché puntiamo molto sulle autonomie delle persone disabili: i ragazzi con problemi cognitivi di solito non lavorano. Invece qui sono sempre stati in mezzo ai cavalli, e oltre a fare ippoterapia hanno cominciato a partecipare a gare e a praticare la Natural Horsemanship, che è servita anche a mettere in scena diversi spettacoli nelle manifestazioni italiane più importanti. I ragazzi qui da noi lavorano tutti i giorni con i cavalli che sono diventati i loro amici di vita, nel vero senso della parola. Quindi abbiamo pensato: perché non far gestire a loro le scuderie? E li abbiamo formati con questo obiettivo».

Come è organizzato il lavoro?
«Vengono in scuderia sei giorni su sette: arrivano alle otto della mattina, mettono i cavalli al paddock se è possibile o li lasciano dentro se il tempo è brutto, puliscono i box. Sanno come gestire i cavalli e usare tutta l’attrezzatura necessaria in autonomia. Sono in grado di ripristinare le lettiere: mettere la paglia che poi spruzzano con l’aceto e rivoltano con la forca così ci sono meno mosche, i cavalli ne mangiano meno e l’ambiente è più pulito; poi distribuiscono fieno e profenda. Il giovedì e il sabato mattina sono dedicati all’addestramento dei cavalli: li muovono personalmente, noi abbiamo due cavalieri agonisti che fanno Para-Reining e cinque che partecipano alle categorie promozionali. C’è sempre da fare per tutti: si rifinisce l’addestramento in vista della prossima gara, oppure si fa judo per imparare le cadute. Abbiamo anche una collaborazione con un gruppo che fa pet-therapy coi cani e poi ci divertiamo a fare i video per le nostre pagine social».

Dalle quali si nota che avete gusti precisi in fatto di cavalli: Haflinger e Bardigiani. E’ un caso oppure c’è una ragione precisa?
«No, non è casuale: io amo spudoratamente i cavalli italiani e ho conosciuto per primi gli Haflinger che nelle Marche sono diffusi da molti anni. I nostri siamo però andati a prenderli direttamente dall’Alto Adige: la mia prima Haflinger, che oggi ha 29 anni ed è la mamma della puledra che ha fatto lo spettacolo a Verona, ha ancora il marchio di razza austriaco».
E i Bardigiani come sono arrivati?
«Era mancata una delle nostre Haflinger, ci serviva un cavallo e puntavamo su un altro soggetto della stessa razza che lì per lì non si è trovato. Era il 2009, allora non è che qui si vedessero molti Bardigiani ma ricordavo la foto di una cavallina che aveva Gianni Gozzi (istruttore del centro Gli Argini) e siamo andati da lui a Parma per vederla. Ce ne aveva però fatta vedere anche un’altra: quella che poi è diventata la mia Piccola. Quando ci ha accontato la sua storia mi si è accesa una lampadina: aveva quattro anni, e un inverno l’avevano persa in montagna. Al rientro dalla stagione del pascolo non l’avevano trovata, pensavano fosse morta per i lupi o per la fame. E invece la primavera dopo, quando hanno portato di nuovo i cavalli su lei è uscita fuori dal bosco, bella tranquilla: allora l’ho guardata negli occhi questa cavalla, lei ha guardato me e niente, mi sono girata verso il mio socio dell’epoca e gli ho detto pagala e carichiamola, che la portiamo a casa. Ed è stata la mia amica e compagna di vita sino all’anno scorso».

Che differenza c’è tra cavallo Haflinger e cavallo Bardigiano?
«A livello di allevamento l’Haflinger sta andando verso un soggetto prettamente sportivo, con caratteristiche di rusticità meno accentuate che in passato. Mentre il Bardigiano le ha consapevolmente mantenute, assieme ad una indole spiccatamente disponibile. Amo entrambe le razze, perché sono tutti e due cavalli italiani meravigliosi e hanno anche il grande pregio di essere complementari in un centro ippico: l’Haflinger è più performante dal punto di vista dello sport anche per cavalieri adulti. Ma il Bardigiano può essere messo al lavoro con i bambini molto prima: a 4 anni sa comportarsi già come un cavallo molto più maturo».
Qualche tempo fa avete indetto una raccolta fondi su Go Found Me: a cosa servirà?
«Abbiamo la necessità di poter strutturare le nostre attività formative. Stiamo già finanziando un corso di formazione per i ragazzi grazie a donazioni arrivate da sponsor e tanti privati, e abbiamo iniziato anche quella per la seconda edizione: ma le spese sono tante. Ormai i nostri allievi storici come Tommaso, Stefano, Agnese, Francesca che è la più piccolina già sono avanti. L’idea è che loro diventino i tutor dei nuovi, una cosa che già fanno, e riescano a portarli a livelli più avanzati sia nel Reining che nella Natural Horsemanship. Quindi abbiamo la necessità di poter lavorare con dei tecnici molto preparati che abbiamo già individuato».
La finalità di questo corso?
«Ottenere le competenze e la qualifica di tecnico di scuderia: veterinari e agronomi tengono lezioni teoriche e pratiche. Tutti i contenuti sono redatti con slide che includono disegni esplicativi e studiati per attirare e mantenere l’attenzione. Poi c’è i lavoro di scuderia, compatibilmente con eventuali impegni scolastici. E infine c’è lo studio delle tecniche di comunicazione non verbale con i cavalli. Per i ragazzi più esperti c’è anche l’addestramento dei cavalli: per questo occorre farli lavorare con tecnici professionisti, che abbiamo scelto in base a quanto i ragazzi riuscivano a recepire da loro assistendo alle loro dimostrazioni a vari eventi».
Li avete selezionati sul campo!
«Sì, abbiamo cercato di capire con chi i ragazzi fossero più attenti e quanto riuscissero a recepire da ognuno: quindi abbiamo selezionato le due o tre persone che più avevano trasmesso».
Ricordo che già in altre occasioni aveva sottolineato la facilità con cui le persone con disabilità riescano a fare propria la comunicazione etologica.
«Perché comunque nelle persone con disabilità intellettive la comunicazione principale è proprio quella non verbale. Ci sono studi fatti negli Stati Uniti in cui si sono accorti che i ragazzi autistici hanno la stessa modalità di percezione visiva dei cavalli. E spesso i ragazzi autistici, o con disabilità intellettiva con qualche tratto autistico ce l’hanno, hanno la stessa modalità di movimenti del cavallo. Perché non si comportano etologicamente da predatori, ma da prede. Per questo interpretano facilmente i comportamenti di chi è preda, come il cavallo. É una capacità innata: non solo quelli più bravi che già sono andati con lo spettacolo in fiera, abbiamo tanti ragazzi nuovi con noi e lo fanno tutti. Un esempio: un gruppo di allievi fa un’ora e un quarto di pulmino per venire da noi e lavorare un’ora, e poi hanno il ritorno a casa. Ma le educatrici ci hanno detto che li portano volentieri perché è l’unica attività che riescono a fare tutti insieme, e in cui nessuno si rifiuta di lavorare. E anche perché tutto quello che hanno imparato da un anno a questa parte l’hanno mantenuto. Quindi vuol dire che evidentemente la loro motivazione nell’interfacciarsi veramente con un cavallo, occhi negli occhi e con tutti i sensi, c’è».
Capire quali sono i propri talenti è davvero come trovare un tesoro.
«Non siamo tutti uguali, io ho due ragazzi bravissimi in sella ad esempio e altri molto bravi a terra, per alcuni dobbiamo ancora capire quale è il loro talento. Ma lo troveremo: e ne faremo una eccellenza».

Questa è la storia della Brigata degli Unicorni
«Ragazzi che attraverso lo studio e la pratica dell’equitazione in realtà hanno anche imparato un mestiere», spiega Loredana Capone. «Vogliamo creare un’Academy e poi invitare altri maneggi a partecipare e prendere questi ragazzi a lavorare da loro. Perché stiamo dimostrando che sono in grado di farlo: a Fieracavalli, al Futurity, a Cremona sono venuti senza genitori, e da soli si sono gestiti i loro cavalli. I gruppi sono sempre misti disabili e normodotati (gli atleti partner) perché si allenano insieme, lavorano insieme, preparano e montano gli stessi cavalli. Andare in gara a Le Arene di Alfredo Ciabattoni che è un’ora da noi, in Abruzzo, è stata una grande opportunità di crescita. É la struttura per il Reining più grande del centro-sud: grazie a Ciabattoni e alla Associazione Reining Abruzzo Marche ASD che ha voluto proprio questo partenariato col Para-Reining, i ragazzi hanno cominciato a lavorare abitualmente in un’arena a livello internazionale. Sono stati accolti in modo strepitoso e messi nelle condizioni di essere totalmente autonomi. Grazie a loro e a tutti quelli che ci sostengono hanno fatto esperienze meravigliose».
